(ho fatto queste foto per un corso di fotogiornalismo tenuto da Giulio e Danilo di Witness Journal. Poi è finito anche sulla loro rivista online. Al termine di questo testo ci sono un po’ di link)
Il nome potrebbe lasciare intendere rumori di risacca e odori salmastri, ma Isola del Cantone non ha nulla del mare, essendo il comune più settentrionale della Liguria. Piazzata sull’aspro Appennino ligure, ultimo avamposto prima del Piemonte e più precisamente di Alessandria, la città dei “mandrogni”, di cui gli isolesi condividono un approccio alla vita concreto, senza inutili fronzoli.
È qui che Maddalena, giovane genovese con una laurea in Filosofia in tasca e non ancora sfoderata per il fantomatico megaconcorso pubblico, dopo un Master e una serie di lavori più o meno gratificanti, ma tutti col contratto a orologeria, decide di trasferirsi per aprire la sua azienda agricola. Maddalena viene qua in villeggiatura da anni, la casa è quella dei nonni, perché non provare?
A legarla alla campagna anche la sua passione per gli animali, che sconfina nell’amore incondizionato verso il suo cavallo Luky.
Ogni giorno lavora la terra, raccoglie le fascine nel bosco, cresce le sue primizie con tecniche biodinamiche, alleva galline, cavalli e una capretta in una striscia di terra stritolata fra le due carreggiate dell’A7, l’autostrada che collega Genova a Milano. Il tratto sud, sorto dalla vecchia camionale costruita nel Ventennio fra il capoluogo ligure e Serravalle Scrivia, costeggia il suo campo. Quello che conduce nella Milano da bere le passa invece a pochi metri da casa e pollaio.
Maddalena non ha macchinari agricoli, per cui entra in gioco una rete virtuosa di sostegno e collaborazione con i contadini storici del circondario, che fanno a gara per fresare le zolle del suo campo, portarle la legna per il caminetto o darle magari qualche consiglio su come fare crescere le verdure evitando chimica assortita.
Maddalena ricambia volentieri andando nei loro campi o orti, aiutandoli nella raccolta o in altre attività bucoliche.
Il risultato di questi lavori, scanditi dal ciclico alternarsi delle stagioni, viene venduto sul banco del mercato che condivide con un’altra coltivatrice in due diverse località, oppure, nei tempi precedenti al Covid, in consegne a privati e ristoratori, ben contenti di poter mettere in tavola prodotti sani e gustosi, esempi genuini del manifesto programmatico chiamato “chilometro zero”, senza contare che l’etica di Maddalena prevede di mantenere prezzi calmierati, dichiarando che i suoi prodotti devono essere accessibili a tutti, pur consapevole dello sforzo per farli crescere.
In lei si fondono gesti antichi, tramandati dalle conoscenze dei vecchi agricoltori della zona e modernità, rappresentata da un utilizzo misurato e intelligente dei canali social per promuovere la sua azienda, trovare nuovi clienti e fidelizzarli, mostrando loro tutto il processo necessario a ottenere quella bella zucca mantovana o le uova fresche.
È un’agricoltura resiliente, un termine ormai abusato e che non amo troppo, ma che in questo contesto è perfetto per descrivere l’attitudine di Maddalena nel garantirsi il sostentamento, ma soprattutto per fare qualcosa che le dia soddisfazione. Durante una pausa mi ha raccontato che difficilmente tornerebbe alla sua vita precedente, fatta di orari, treni, contatti quotidiani con persone ingessate.
Ora é davvero libera dalle dinamiche soffocanti della città, del lavoro dipendente, di questa società che – il Covid ce l’ha svelato chiaramente, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – si basa su un frenetico e incessante mantra che parte dal produci – ammesso di essere considerati indispensabili a quello sforzo – continua con consuma e termina nella terra. Di nuovo.
Maddalena, senza di lei questa pagina non ci sarebbe
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